Il pane sciocco

“Ho comprato il pane toscano, l’ho comprato Rosina per te ma da quando lo prendi nell’*** il pane toscano lo tengo per me”. Filastrocca di famiglia
In Toscana il sale ha un ruolo importante. Lo mettiamo ovunque, lo aggiungiamo a prescindere ad ogni sugo o pietanza anche senza prima assaggiarla, lo mettiamo in tavola come gesto automatico ma allo stesso tempo, lo passiamo esclusivamente poggiandolo sul tavolo e mai di mano in mano, perché – sotto sotto – siamo un po’ superstiziosi. Il sale fa parte della nostra natura, il sale si appiccica alla pelle dei marinai di Viareggio e la rende dura e segnata dalle onde. È il sapore che resta sulle labbra quando ci si passa sopra la lingua dopo aver mangiato il fritto misto alla Rotonda di Livorno. Sono salate le lacrime di quando scendi dal treno e rivedi “la tua” Firenze, sono salate le lacrime di quando la saluti un’altra volta quando parti e te ne vai. Il sale rende perfetta una semplice fetta di pane con sopra l’olio nuovo. Il sale è per noi Toscani qualcosa di imprescindibile.
Starete pensando, «sì, mettete il sale ovunque ma non nel pane». Il pane Toscano, una delle più grandi incomprensioni, oltre a quando aspiriamo la C tra noi e il resto del paese, non capendo che la sua bontà sta proprio nell’essere privo di sale. È come una pagina bianca per chi scrive, ti da la possibilità di diventare qualsiasi cosa tu voglia, sia un panino con la Finocchiona che la mitica minestra di pane – che tanto ama mio padre.
Il pane sciocco, come lo chiamiamo noi, è buono perché… sa di casa.
Sapete, tra le prime cose che faccio quando torno a Firenze, c’è quella di mangiare il pane, così senza sopra nulla, è buonissimo e sa di semplicità. Mi ricorda quando d’estate mia nonna alle quattro di pomeriggio mi chiamava in cucina e mi consegnava in mano una grande fetta di pane con sopra burro e zucchero, era la merenda più buona in assoluto. Ancora oggi se la mangio mi riporta alla mente le ginocchia sbucciate e le corse in giardino rincorrendo mia sorella. Mi ricorda che noi toscani siamo un popolo semplice, che ama i gesti e i sapori veri.
Quando mi sono trasferita a Milano, ormai nel lontano 2006 la ricerca del pane è stata estenuante. Ogni volta che andavo dal panettiere o al supermercato passavo decine di minuti a guardare tutte le opzioni che mi si presentavano davanti, per poi tornare a casa sempre senza pane. Una volta ho addirittura voluto tentare la sorte, mi sono fatta coraggio e sono entrata dal panettiere alla ricerca del mio – amato – pane toscano.
Mi pare scontato dirvi che ho fallito.
«Salve, avete il pane toscano?» ho chiesto ingenuamente. «No signorina, noi il pane lo facciamo alla milanese.» Inutile dirvi che mi sono morsa la lingua per non dare una rispostaccia degna di una ragazza delle Piagge (e chi è di Firenze sa di cosa parlo).
Così tra, michette, tartarughe, bocconcini e sfilatini, con la mente offuscata da tanta scelta e da tanta farina, sono uscita dal negozio con un sacchetto pieno di pane e di speranza.
Arrivata a casa, carica di fiducia – più nel pane che nel panettiere se devo essere onesta – ho versato il mio carico di carboidrati sulla tavola e iniziato ad aprire e assaporare ogni tipo di pane, con le mani sporche di farina, scoprendo una dopo l’altra pagnotte dalle molliche appiccicose e croste che si sfaldano, tristemente lontane da quello a cui ero abituata. Proprio in quel momento, nella mia mente ho sentito risuonare una delle frasi più significative e divertenti che mio padre abbia mai detto:
Io, sono un ragazzo semplice mi piacciono: la fica e la minestra di pane»
Qualcuno una volta mi ha detto: “spezzare il pane è un gesto antico e bisogna averne cura”. È dal 2006 che non mangio il pane a Milano. Acqua, farina e lievito – non può essere tanto difficile – … vi svelo un segreto: fidatevi, lo può essere eccome!